Di Silvia Gigliotti*

Scoprire di avere un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) durante l’adolescenza può essere un momento molto intenso, quasi una rivelazione. Finalmente si riesce a dare un nome a difficoltà vissute fin dai primi anni di scuola, spesso fraintese da insegnanti o familiari come segni di poca intelligenza o scarsa volontà. Chi convive con un DSA non riconosciuto,  può aver trascorso anni  sentendosi “sbagliato” o “sbagliata”, pur percependosi come una persona curiosa, sveglia, intelligente.

Spesso si viene indirizzati/e verso percorsi scolastici considerati “più semplici” o meno impegnativi, non in base alle reali potenzialità o aspirazioni dello studente o della studentessa, ma a causa di un pregiudizio legato esclusivamente ai voti e al rendimento.

La frustrazione che ne deriva nasce proprio da questo divario: sentire di avere delle risorse, ma non riuscire a dimostrarle nei contesti scolastici o, più avanti, anche in quelli lavorativi. Attività come leggere, studiare, ricordare, possono risultare molto faticose, lente, a volte quasi impossibili.

Il significato di una diagnosi in adolescenza

In questo contesto, la diagnosi non è solo una “classificazione medica”: è uno strumento per rileggere la propria storia. Le difficoltà non sono più viste come fallimenti personali, ma come espressione di un modo diverso – mai riconosciuto prima – di funzionare. È come guardarsi in uno specchio che, finalmente, riflette un’immagine chiara di sé:  si comprendono tante esperienze dolorose e, soprattutto, ci si libera dal peso di sentirsi “non abbastanza”.

Tuttavia, questa scoperta non è sempre facile da accettare. Porta con sé anche il dolore per il tempo perso, per le occasioni mancate, per i giudizi ingiusti subiti, per la fiducia in sé spesso minata profondamente.
Accogliere una diagnosi in adolescenza richiede un percorso di rielaborazione interiore. Significa ricostruire l’immagine di sé su basi più autentiche, riconoscere i propri punti di forza, capire che si è intelligenti anche se si fatica con la lettura o lo studio nei modi tradizionali.
Questa nuova consapevolezza rappresenta un passaggio fondamentale per conquistare autonomia, serenità e una piena espressione del proprio potenziale.

Dare il nome giusto alle cose: due esperienze del nostro centro clinico

Al Centro clinico Prometeo, ci siamo trovati più volte davanti a diagnosi di DSA arrivate tardi, nel pieno dell’adolescenza. Sono storie di ragazzi e ragazze che, prima di ricevere una risposta, hanno vissuto la frustrazione di una bocciatura al primo anno delle superiori. In molti di questi casi, solo dopo anni di fatica e risultati deludenti, inizia a emergere il sospetto: e se ci fosse una difficoltà reale alla base?

Il caso di A. – Intelligente ma “lento”

A., dopo un anno difficile alle superiori, cambia istituto. Una nuova insegnante, attenta, nota subito qualcosa di particolare: A. si esprime e interviene in modo pertinente e brillante, ma fa estrema fatica nello studio individuale. Propone alla famiglia una valutazione “per toglierci il dubbio”, che si rivela fondato: la diagnosi rivela una dislessia significativa.

A. legge in modo molto lento, con difficoltà di decodifica, e questo compromette la comprensione immediata dei contenuti. Passa ore sui libri, ma i risultati non sono proporzionati all’impegno.
Dai suoi racconti emerge tutta la sua frustrazione: interi pomeriggi e weekend passati a studiare mentre gli altri si divertivano, per poi ottenere solo voti mediocri.
Quando qualcuno leggeva per lui o spiegava ad alta voce, però, capiva tutto. Aveva sviluppato, inconsapevolmente, una strategia compensativa: ascoltare prima, farsi spiegare, “masticare” i contenuti attraverso la voce altrui. Ma questo comportamento veniva spesso interpretato come pigrizia o dipendenza: “Ma perché non riesci a farlo da solo?”

Un errore ricorrente è proprio questo: attribuire la lentezza nella lettura alla mancanza di esercizio. Ma c’è una grande differenza tra chi ha solo bisogno di allenamento e chi, invece, vive una reale difficoltà legata a un funzionamento neurocognitivo diverso come la dislessia. Esperienze come quella di A. ci insegnano quanto sia importante uno sguardo attento e libero dai pregiudizi. A volte basta un’insegnante che osserva davvero per cambiare il percorso di vita di uno studente.

Il caso di V. – Brillante ovunque, tranne nei compiti scritti

V. è al quarto anno di liceo scientifico. È brillante in tutto: a scuola, nello sport, nel volontariato, nelle relazioni. Eppure, c’è qualcosa che non torna, una sensazione di fatica sommersa, di sforzo non riconosciuto.

V. passa ore e ore a studiare, soprattutto matematica: esercizi ripetuti mille volte, teoria conosciuta a memoria. Nelle interrogazioni orali ottiene risultati eccellenti, ma nelle verifiche scritte, qualcosa si inceppa: errori di calcolo apparentemente “banali” e voti che non rispecchiano il livello delle sue conoscenze. E poi quelle difficoltà persistenti, come scrivere ancora “a” con l’acca o “insieme” staccato, anche a diciassette anni, anche dopo innumerevoli correzioni.
La discrepanza tra orale e scritto diventa fonte di forte frustrazione.

V. si descrive come una ragazza sveglia, rapida nel ragionamento, ma “sbadata”, “imprecisa”, “sempre un passo avanti con la testa, ma mai perfetta nei dettagli”. Anche sua madre ricorda difficoltà simili, fin dalla scuola primaria, attribuite per anni a distrazione o poca attenzione.

È V. stessa, stanca di non capire il perché di quei continui errori, a chiedere con forza una valutazione: “Non mi sento distratta ma non riesco a spiegarmi questi sbagli. C’è qualcosa che non so definire.”

E così arriva la diagnosi: disortografia e discalculia. Una scoperta che cambia tutto. Non solo per V., ma anche per la famiglia. La commozione della madre, durante la restituzione, è stata la prova concreta di quanto fosse importante dare finalmente un nome alle difficoltà vissute per anni.

Con la diagnosi cambia lo sguardo: gli errori non sono più vissuti come mancanze personali, ma come espressione di un funzionamento diverso. Si aprono nuove possibilità con strumenti adatti e maggiore fiducia in sé.
Dare il nome giusto alle cose non serve solo a capire, ma a riconoscere il potenziale e il valore di chi per troppo tempo si è sentita/o fuori posto, quando invece aveva solo bisogno di un altro modo per esprimersi.

Oltre la diagnosi: il percorso con Prometeo

Nel Centro Clinico Prometeo ci occupiamo di valutazioni e certificazioni di DSA dalla scuola primaria fino alla fine delle scuole superiori. Ma il nostro lavoro non si limita alla diagnosi.

Proponiamo una presa in carico globale, che guarda alla persona nel suo insieme. Non ci fermiamo all’aspetto clinico, ma offriamo supporto concreto alla famiglia, suggeriamo strategie personalizzate e manteniamo un dialogo costante e costruttivo con la scuola. L’obiettivo è promuovere il benessere e l’equilibrio del ragazzo o della ragazza, per riscoprire fiducia nelle proprie capacità e trovare strumenti efficaci per affrontare le sfide scolastiche e personali.

Crediamo che la diagnosi sia solo il primo passo: ciò che davvero fa la differenza è il percorso che si costruisce dopo, insieme.


* Psicologa, insegnante e formatrice. Si occupa di fragilità legate all’apprendimento dal 2004. Specializzata in disturbo specifico dell’apprendimento dal 2011. Dal 2017 collabora con il Centro Clinico Prometeo e fa parte dell’equipe DSA.